Quando il problema ha la forma di una macchia, due sono i possibili approcci “filosofici”: scioglierla con qualcosa che la porti via, oppure farla reagire con qualcosa che la renda invisibile. Un approccio ibrido è quello di farla reagire con qualcosa che la predisponga più facilmente ad essere portata via.
Il mondo dei saponi e dei tensioattivi invece merita una trattazione distinta e sarà sviluppato adeguatamente in un altro intervento.
Il primo approccio (scioglierla con qualcosa che la porti via) fa riferimento all’antico detto dei chimici secondo il quale “il simile scioglie il simile”: quando abbiamo una macchia su un tessuto dovremo in primo luogo domandarci di che sostanza si tratti, e questa domanda per un chimico si traduce automaticamente in quale sia la struttura della sua molecola. Andremo quindi a cercare un’altra sostanza con una struttura molecolare simile, non solo nell’aspetto ma anche in tutta una serie di specifiche descrittive, a parità di caratteristiche daremo la preferenza a sostanze liquide (che penetrano meglio dei solidi nei tessuti e poi escono altrettanto bene dopo avere disciolto in esse la macchia) e quindi procederemo con la pulizia.
Paradossalmente per togliere una macchia d’olio potrei usare dell’altro olio: le molecole appartenenti alla macchia inizialmente presente probabilmente non ci saranno più ma avrò il ben più grave problema di eliminare tutte quelle dell’olio usato per la pulizia! La sostanza utilizzata, che dovendo sciogliere qualcosa possiamo a ragione iniziare chiamare “solvente”, dovrà quindi essere a sua volta facilmente allontanabile. Il modo più conveniente per allontanare questi solventi è quello di farli evaporare, dal momento che li abbiamo scelti apposta per la loro somiglianza ai grassi, ed i grassi si sa non si sciolgono in acqua e quindi neanche questi solventi.
Questo è il mondo del lavaggio a secco, cosi detto perché non fa ricorso ad acqua ma a solventi definiti “apolari”, che condividono per l’appunto questa caratteristica (l’apolarità) non soltanto con i grassi e con gli oli ma anche con tante altre macchie più colorate, come ad esempio quelle di licopene (la sostanza che colora di rosso il pomodoro) ed il carotene dei frutti arancioni e delle foglie ingiallite. I solventi apolari più utilizzati a livello industriale ma anche domestico sono attualmente la trielina (tricloroetilene) e l’n-esano (frequentissimo con vari nomi commerciali nel reparto smacchiatori dei supermercati), ma anche benzina, il gasolio ed il cherosene potrebbero prestarsi in linea di principio allo stesso impiego.
Per le macchie vegetali colorate, come ad esempio il verde dell’erba (clorofilla) ed il viola di vino, frutti rossi e molti fiori (antociani) i solventi ideali sono quelli che hanno caratteristiche intermedie fra l’acqua ed i solventi apolari prima descritti. Sono ad esempio l’alcol etilico, l’acetone e tutti i suoi succedanei impiegati anche per rimuovere lo smalto dalle unghie: meglio accertarsi preliminarmente che questi solventi non sciolgano il tessuto, specie se sintetico, sul quale si trova la macchia!
Questi solventi hanno un carattere di polarità intermedia fra quello dell’acqua (estremamente polare) e quello dei solventi apolari e, come da teoria generale, assomigliano in questa caratteristica al comportamento delle molecole di clorofilla ed antociani
L’altro approccio (farla reagire con qualcosa che la renda invisibile) è invece quello che punta alla distruzione del cromoforo della molecola. Il cromoforo, come dice il nome, è la parte della molecola responsabile del colore. In verità la presenza e la tonalità del colore di una molecola spesso non è spesso imputabile ad un elemento unico ma a tutta una parte della molecola, ovvero ad alcune sue caratteristiche strutturali. Se troviamo un’altra sostanza chimica che per reazione distrugga o trasformi la parte cromofora delle molecole responsabili della macchia, il risultato sarà quello di avere reso la macchia invisibile! A volte questa reazione può portare alla mezza demolizione della struttura della molecola, fino a piccoli pezzetti incolori che possono restare lì sul posto ma che possono anche essere sciacquati via facilmente dal tessuto.
Questo è l’approccio della candeggina, del perborato e dell’acqua ossigenata: tutti prodotti dalle spiccate caratteristiche ossidanti, che aggrediscono la molecola colorata attraverso una reazione detta di ossidazione.
Vediamo per ultimo l’approccio ibrido: far reagire le molecole della macchia con qualcosa che le predisponga più facilmente ad essere portate via.
I detersivi agli enzimi sfruttano il principio della demolizione di una molecola di grandi dimensioni, di solito di un grasso o di una proteina, in pezzetti più piccoli e dotati di maggiore solubilità nell’acqua del risciacquo.
Questo è anche l’approccio seguito da rimedi più rari, che io personalmente suggerirei soprattutto per le macchie di derivati dei metalli, come le macchie di ruggine certamente, ma anche di verderame e di tutte quelle leghe che spesso lasciano tracce colorate sui tessuti, non ultimo il tanto temuto nichel.In commercio si possono trovare per esempio fialette anti-macchia di ruggine che contengono una soluzione di acido fluoridrico. Premesso il fatto che si tratta di un prodotto oltre che molto tossico anche sorprendentemente caustico per la pelle e deleterio per gli occhi, usato in gocce esso non aggredisce la maggior parte dei tessuti, mentre reagisce con la ruggine (un misto di ossidi di ferro) trasformandola in fluoruri di ferro. Questi sono molto solubili e, a differenza della ruggine originaria, vengono lavati via con un semplice risciacquo con acqua.
Tempo fa ho provato ad immaginare un modo meno pericoloso per togliere le macchie di ruggine sempre seguendo l’approccio di aumentare la solubilità in acqua del ferro in esse contenuto. Ho cercato fra quelle sostanze definite “chelanti” perché sono un grado di chiudere e schermare il metallo proprio come fra le chele di un granchio. Fra quelle di uso più domestico ho individuato il succo di limone, che con la sua presenza di acido citrico, se usato in piccole dosi secondo un approccio “applico-sciacquo-riapplico” può effettivamente aiutare a portare via quelle sgradevoli macchie arancioni.
Infine un consiglio, se avete a disposizione una quantità definita di un certo solvente, per esempio un flaconcino da 200 grammi di esano, sappiate che esiste addirittura una dimostrazione matematica del fatto che a parità di quantità di solvente disponibile si estrae molto di più con tante estrazioni consecutive realizzate con piccole quantità di solvente, piuttosto che con poche estrazioni realizzate con dosi maggiori di solvente. Dato che questi solventi non disgregano la macchia, ma semplicemente la sciolgono spostandola di posizione, la tecnica migliore per impiegarli per rimuovere una singola macchia è quella di far loro attraversare in tessuto in corrispondenza del punto da trattare: provate ad esempio ad appoggiare una tazzina o un bicchierino in vetro o ceramica (non in plastica!) sotto il tessuto, leggermente piegato a conchetta all’interno della tazzina e versate il solvente dall’alto con un contagocce o un cucchiaino.