Su come eliminare gli odori non proprio gradevoli di alcuni alimenti dal frigorifero di casa, evitando fra l’altro che ne vengano contaminati alimenti che dovrebbero restarne privi, ne sono già state dette tante.
Le nostre mamme e le nostre nonne ci hanno tramandato metodi che vanno dal lavaggio delle pareti del frigo con una spugnetta imbevuta di aceto bianco allo stesso lavaggio praticato però con il bicarbonato di sodio sciolto in acqua, passando per il succo di limone fino a proporre di sistemare una vaschetta con del bicarbonato in polvere in un angolo del frigorifero. Non sarò di certo io in questa sede a causare conflitti generazionali affermando che questi metodi siano inutili, però già in premessa volevo richiamare l’attenzione su due aspetti relativi a questi approcci, indipendentemente dal fatto che essi siano o meno efficaci, prima di proporre la mia soluzione alternativa.
Il primo problema di questi interventi è che essi solitamente prevedono un qualche lavaggio delle pareti: soluzione questa che anche fornendo risultati accettabili avrebbe senso solo su di un frigorifero nuovo o comunque svuotato, richiederebbe di tenerlo aperto per un lungo periodo e quindi non è adatto per un apparecchio in funzione e con dentro gli alimenti ed infine, diciamolo pure… richiede pur sempre un certo investimento di tempo per essere realizzato.
L’altro svantaggio di queste tecniche di pulizia “spugnetta alla mano” è che si concentrano sulle sostanze odorose che si sono depositate sulle pareti, da quelle derivanti dal processo di fabbricazione della plastica in un frigorifero nuovo, a quelle di origine alimentare nel caso, ad esempio, di un prodotto andato a male che ha contaminato l’ambiente chiuso del frigorifero: ad intervento di pulizia terminato però le nuove sostanze odorose generate dagli alimenti custoditi saranno nuovamente libere di circolare e di contaminare l’ambiente appena pulito.
Vediamo ora come potrebbe un chimico approcciare il problema della rimozione degli odori sgradevoli dal proprio frigorifero di casa.
Un primo approccio “chimico” potrebbe magari essere quello di far reagire le molecole disperse allo stato aeriforme con altre sostanze chimiche in grado di “neutralizzarle”, ad esempio tramite la formazione di un prodotto di reazione inodore. Oltre al dubbio etico e salutistico che potremmo avere nell’introdurre nuove sostanze reattive nello stesso frigorifero nel quale sono ospitati gli alimenti, verrebbe a crearsi la difficoltà, per non dire l’impossibilità, di individuare uno o un numero limitato di reagenti in grado di reagire con tutte le diverse centinaia, forse migliaia di diverse specie chimiche volatili e potenzialmente maleodoranti presenti nell’aria del frigo.
Quello che occorre sarà quindi in primo luogo un rimedio non invasivo e soprattutto non pericoloso, ed in secondo luogo un rimedio generale, ovvero che non sia specifico solo per alcune ma che affronti bene il problema dell’eliminazione di un po’ tutte le sostanze chimiche volatili, sfruttando magari qualche loro caratteristica che le accomuni.
Per rispondere al primo requisito, ovvero alla non invasività con nuove sostanze chimiche utilizzate ad hoc, quello che si ipotizza è l’impiego di una trappola, ovvero di un sistema statico, magari posto in un punto ben preciso del frigorifero, in grado di “catturare” le molecole volatili maleodoranti.
La chimica e la chimico-fisica dispongono di una vasto campionario di sistemi di cattura: oltre al già ipotizzato sistema per reazione (che porta ad una variazione della natura chimica della molecola catturata, andando a formare un cosiddetto prodotto di reazione), si può immaginare un sistema di adsorbimento superficiale, o magari anche una condensazione su una trappola costituita da un elemento particolarmente refrigerato (ottima idea in un frigorifero… peccato che le temperature richieste sarebbero ben al di sotto di quelle raggiungibili in un sistema domestico), ma anche più semplicemente si può immaginare di far catturare le molecole volatili maleodoranti in un materiale che semplicemente le sciolga all’interno di esso.
Inutile dire che quest’ultima sarà proprio la strada che proveremo a percorrere, sia per la sua semplicità di allestimento che per la sua economicità, per non dimenticare il fatto che non comporterà la necessità di spargere o spruzzare alcunché in giro per il frigorifero.
Per individuare il materiale idoneo ad assorbire e quindi a sciogliere in sè queste molecole odorose dovremmo in primo luogo conoscere le caratteristiche chimiche e chimico-fisiche di queste sostanze indesiderate e comprendere se magari pur nella loro specificità individuale, condividono qualche proprietà in comune che possa essere sfruttata al fine di identificare un materiale di cattura unico.
Una sostanza chimica per essere odorosa (non solo maleodorante, ma anche eventualmente profumata) deve rispondere ad alcuni requisiti essenziali: in primo luogo la sua molecola dev’essere piccola e leggera, in secondo luogo deve avere un basso punto di ebollizione, o se non altro una sufficiente volatilità. Anche se non è ancora detto che tutte le molecole aventi queste caratteristiche siano di fatto dotate di qualche odore percepibile dall’olfatto umano, è altresì vero che una molecola per essere potenzialmente odorosa deve comunque rispettare entrambe le condizioni suddette, che saranno pertanto da ritenersi del tipo “necessario ma non sufficiente”.
“Piccola e leggera”, riferito ad una molecola, in linguaggio chimico significa di peso molecolare ridotto: nello specifico potrebbe trattarsi di un peso molecolare inferiore ad alcune centinaia di unità di massa atomica (uma). Di conseguenza possiamo già escludere la maggior parte delle sostanze di origine naturale che compongono gli alimenti, come i polisaccaridi, le proteine, gli acidi nucleici, ed addirittura i materiali dei quali sono fatti i contenitori come ad esempio i materiali plastici (a patto che essi non contenga monomeri ed oligomeri a basso peso molecolare, ma in questo caso il problema più che di odore potrebbe essere di autentica tossicità!), il legno (sulla cui composizione si rimanda ad uno specifico post: di cosa è fatto il legno?), i metalli ed il vetro. E’ facile calcolare il peso molecolare di una molecola disponendo della sua formula anche bruta, semplicemente sommando i pesi atomici di tutti gli atomi che la compongono (questi valori sono riportati su qualsiasi tavola periodica degli elementi) e, nel caso dei polimeri naturali (es. amido) o sintetici (es. plastiche) moltiplicando il peso del monomero per il grado di polimerizzazione.
La seconda condizione è talvolta più difficile da valutare ed è relativa alla facilità di ciascuna di queste molecole a passare allo stato aeriforme. Questa caratteristica è solo in parte legata al punto di ebollizione perchè anche a temperature ad esso inferiori ogni sostanza passa seppur in piccola misura allo stato di vapore, esattamente come capita all’acqua che seppur molto lentamente evapora da un contenitore aperto anche a temperatura ambiente, fino a scomparire completamente nel tempo. A questa caratteristica di volatilità le sostanze meglio candidate ad essere portatrici di note odorose associano spesso una più o meno alta fugacità, intesa come capacità di diffondersi velocemente attraverso le molecole di azoto ed ossigeno di cui è in gran parte composta l’aria.
Queste sono condizioni necessarie ma non sufficienti affinchè una molecola sia portatrice di una nota odorosa percepibile, per lo meno al naso umano: entreranno successivamente in gioco fattori di raffinato dettaglio legati alla forma delle molecole, alla presenza di particolari raggruppamenti di atomi o gruppi funzionali, ed a relative frequenze vibrazionali eventualmente indagabili mediante spettroscopia IR… un’infinità di altri fattori che effettivamente sono ancora oggi oggetto di un’affascinante discussione da parte degli specialisti. Anche se “non sufficienti” le caratteristiche che una molecola dovrebbe avere per poter essere portatrice di un odore sono però già di per sé stesse sufficienti per poter escludere una larghissima fetta di specie chimiche: ad esempio quelle di peso molecolare particolarmente elevato, come già evidenziato in precedenza, così come i composti ionici (ad es. i sali), ed anche i lipidi a bassissima tensione di vapore come ad esempio i trigliceridi. Le classi di molecole meglio candidate, soprattutto per la caratteristica di volatilità, sono le molecole meno polari, quelle che, oltre ad essere di basso peso molecolare, non tendono a formare un reticolo di legami idrogeno particolarmente impegnativi fra molecole dello stesso tipo e con le molecole della matrice polare di appartenenza, soprattutto con la fase acquosa. Molecole meno legate fra loro e meno legate all’ambiente nel quale sono immerse tendono a staccarsi più facilmente, in quantità maggiori ed a temperature più basse, ovvero risultano più voltatili anche in un ambiente refrigerato come quello del frigo.
Sono diverse centinaia, forse migliaia le diverse specie chimiche che possono essere imputate come potenziali responsabili degli odori sgradevoli che si possono formare in un frigorifero dove sono ospitati alimenti.
Fra queste le più importanti sono probabilmente le aldeidi e chetoni alifatici a catena media e corta che si formano dalla degradazione dei lipidi (ad esempio dall’irrancidimento degli alimenti grassi). Prodotti di origine vegetale anche freschi possono inoltre liberare terpeni di varia natura che caratterizzano sì le qualità organolettiche di ogni singola verdura o frutta, ma messi insieme ad elevate concentrazioni possono contribuire ad una cacofonia di odori che viene per lo più considerata indesiderabile e sgradevole. Vegetali come le crucifere (es. cavoli, cavolfiore, ecc) e liliacee (es. cipolla, aglio, ecc) sia allo stato fresco che, soprattutto, se in via di degradazione, possono liberare molecole molto volatili contenenti zolfo bivalente come allil-solfuri e mercaptani; fino ai potentissimi tioli liberati dal pesce non proprio freschissimo.
Tutte queste molecole sono per l’appunto caratterizzate da un peso molecolare piuttosto limitato e da una polarità anch’essa contenuta.
Dopo aver identificato le caratteristiche delle molecole da eliminare dall’aria contenuta nel frigo, possiamo a questo punto domandarci come di fatto effettuare questa eliminazione, ovvero come costruire la trappola della quale si era parlato in precedenza, e più nello specifico dal momento che si era pensato di utilizzare un sistema di cattura che fosse in grado di assorbire le molecole odorose volatili “per scioglimento”, in quale materiale queste potrebbero sciogliersi con maggiore facilità.
Nella ricerca del miglior materiale da utilizzare come catturatore è ragionevole ragionare secondo il vecchio detto dei chimici secondo il quale “il simile scioglie il simile”. Essendo le molecole da catturare poco polari, o per semplicità possiamo dire apolari, apolare dovrà anche essere il materiale nel quale esse si scioglieranno meglio. Gli esempi di materiali apolari nell’ambito della nostra casa son davvero molti: si va dalla paraffina al gasolio, dall’olio alimentare alla trielina, dal polistirolo al burro… Escludendo ovviamente i materiali nocivi per la salute e quelli potenzialmente infiammabili, suggerirei in seconda battuta di procedere ad escludere anche quelli eccessivamente compatti, ovvero di natura solida, in quanto è noto che la diffusione di una piccola molecola (quella odorosa che dall’aria si scioglie nel materiale assorbente) è maggiore in un liquido piuttosto che in un solido.
Dall’elenco dei materiali casalinghi che ho precedentemente accennato, rimarrebbe dunque l’olio, non pericoloso anzi addirittura lui stesso un alimento, e per di più allo stato liquido. In prima battuta si potrebbe pensare di collocarlo in un bicchierino aperto e di appoggiare questo su un ripiano del frigorifero: così facendo però la superficie esposta all’aria, la cosiddetta interfaccia di fase, sarebbe estremamente ridotta rispetto al volume di olio disponibile. Se l’olio fosse un liquido meno viscoso questo potrebbe non costituire un problema grave, ma essendo invece viscoso, e molto, la diffusione in esso delle piccole molecole apolari diventerebbe un processo lento, che rischierebbe di essere superato in velocità dalla generazione di nuove molecole da parte degli stessi alimenti custoditi nel frigorifero.
Una possibilità per ovviare al problema della limitata diffusività di queste molecole nell’olio potrebbe essere quella di tenerlo sotto agitazione, soluzione questa chiaramente di difficile attuazione all’interno di un frigorifero. La mia proposta potrebbe invece essere quella di agire in direzione di un aumento della superficie dell’interfaccia fra olio ed aria. Come? Ad esempio impregnando di olio una spugna a porosità larga ed appoggiando la stessa, nel caso l’olio coli, in un piattino su di un piano del frigorifero. Il livello di ampiezza dei pori e di impregnazione può essere valutato cercando di caricare al massimo di olio la spugna ma facendo in modo che i pori della stessa non risultino completamente intasati ma in essi sia libera di circolare l’aria.
Il tipo di olio da utilizzare non è particolarmente determinante: ovviamente non dovrà essere lui stesso maleodorante, dovrà essere sufficientemente fluido e, si immagina, non eccessivamente costoso. Potendo proprio scegliere opterei per un olio dotato di una certa percentuale di mono-insaturazioni, ad esempio un olio di oliva di costo limitato, ad esempio un olio di sansa di oliva.
Una volta ogni tanto, magari una volta al giorno, è possibile stimolare ulteriormente il ricambio degli strati di olio fra la superficie esterna ed il cuore della spugna, tramite una strizzatina nel suo piattino.
Il sistema può essere facilmente riutilizzato quando saturo (spugna eccessivamente puzzolente) semplicemente svuotandolo, ovvero spremendo accuratamente la spugna e caricandola con nuovo olio fresco.
Un discorso in buona misura diverso vale invece per tutte quelle molecole che si formano durante la cottura degli alimenti, specie quelle il cui processo di formazione va sotto il nome generale di reazioni di Maillard e che richiedono per la loro formazione la disponibilità di zuccheri semplici, di aminoacidi liberi, un pH non eccessivamente acido e non troppa acqua in circolazione. Queste molecole, ovviamente non in singolo ma in folte schiere di decine, spesso centinaia di specie chimiche differenti caratterizzano l’aroma naturale che si sviluppa durante la cottura della maggior parte dei cibi: dal momento che si tratta di molecole mediamente un po’ più polari di quelle finora descritte, la loro solubilità negli oli potrebbe risultare meno elevata di quella delle molecole finora descritte ed il sistema della spugna impregnata di olio, seppur potenzialmente utilizzabile, potrebbe nello specifico risultare meno efficace.