Aggiornato il 2 Settembre 2021 by Luisa Maggio
La conservazione degli alimenti comprende diversi metodi e processi che i produttori utilizzano durante la preparazione o prima di commercializzarli per poterne preservare l’edibilità nel tempo e il valore nutritivo, prevenendone le alterazioni precedentemente descritte. Per selezionare quale trattamento effettuare su un prodotto si prendono in esame i fattori che possono causare il suo deterioramento. Tra gli elementi più importanti capaci di alterare le caratteristiche di un alimento vi sono microorganismi quali batteri e funghi, ma anche enzimi, che possono modificare la consistenza e il sapore originale di un prodotto. Ai fattori biologici si affiancano poi quelli chimici, il principale dei quali è l’ossigeno presente in atmosfera che può innescare processi di ossidazione capaci di provocare profonde alterazione dei cibi. Tra i metodi di conservazione più antichi ma ancora oggi funzionanti vi sono il raffreddamento e la conservazione sotto sale. A questi si affiancano processi più moderni come la pastorizzazione, la sterilizzazione, la filtrazione sino all’aggiunta di sostanze chimiche capaci di conservare a lungo i prodotti. Spesso per alcuni alimenti come i formaggi o i vini si possono utilizzare gli stessi microorganismi per garantire la loro conservazione nel tempo sfruttando per esempio la fermentazione di lieviti. La presenza di microorganismi nei cibi infatti non sempre è dannosa per l’uomo, né necessariamente deve provocare il deterioramento degli alimenti. Nel caso del trattamento di fermentazione vengono inoculati all’interno di alcuni alimenti (es. yogurt, formaggio, birra, vino) microorganismi quali batteri, muffe o lieviti, che utilizzando alcune sostanze presenti nel mosto del vino piuttosto che nel latte, le trasformano in prodotti con capacità conservativa ed in ogni caso non tossici per la salute dell’uomo. La scelta del metodo di conservazione da seguire deve tenere conto sia dell’efficacia del processo sia delle caratteristiche organolettiche del cibo, che vanno dall’aspetto al sapore sino al valore nutrizionale del prodotto. Un ulteriore fattore che viene certamente tenuto in considerazione è il costo dell’intero processo. A livello industriale non esiste un singolo trattamento di conservazione che da solo possa preservare da tutti i rischi; per questa ragione la scelta del processo da adottare viene fatta anche sulla base di indicazioni di rischio e di scelte legate alla distribuzione e commerciali (presenza o meno di catene del freddo; tempi di consumo, ecc). Di seguito descriveremo alcuni metodi usati per la conservazione dei cibi con lo scopo di informare sulle proprietà dei diversi processi adottati dalle aziende. Questo fornirà ai consumatori un ulteriore elemento per valutare criticamente i prodotti da acquistare in base alle proprie esigenze di consumo.
Metodi basati sulla riduzione dell’attività dell’acqua
L’eliminazione dell’acqua da un alimento destinato alla vendita ha lo scopo di garantirne un’eccellente protezione contro le cause più comuni di deterioramento dei cibi. La riduzione della quantità di acqua attraverso l’aumento dei sali, la loro concentrazione o l’eliminazione dell’acqua è una pratica molto antica ed efficiente. In un ambiente privo di acqua, infatti, i microorganismi non possono crescere poiché l’attività enzimatica è assente e la maggior parte delle reazioni chimiche viene fortemente rallentata. Una volta eliminata l’acqua, l’alimento deve poi essere collocato in un involucro che sia impermeabile all’umidità in modo che non possa essere riassorbita dall’aria. Per questo la conservazione degli alimenti disidratati avviene spesso in scatole sigillate ermeticamente. La riduzione della quantità di acqua attraverso l’aumento dei sali (conservazione sotto sale) o di zucchero costituisce una pratica molto antica ma ancora molto efficace. La salatura così come l’aggiunta di zucchero tendono a disidratare i cibi e a garantirne una buona conservazione nel tempo.
L’essiccamento è uno dei processi che consente l’estrazione più efficace dell’acqua dai cibi. Questa procedura può essere effettuato secondo processi naturali (es. l’esposizione al sole di frutti su rastrelliere) o mediante l’uso di aria calda e strumentazioni dedicate capaci di verificare la quantità di acqua eliminata. Quest’ultima procedura è certamente più controllata mentre la prima tecnica è più artigianale. La liofilizzazione è un altro tipo di essiccamento che comporta la surgelazione dei cibi e l’estrazione di tutta l’acqua presente in essi in condizioni di vuoto spinto e con il minimo deterioramento possibile della struttura e dei componenti degli stessi. Verdure, frutta, carni, pesci e altri alimenti, che contengono anche l’80% di umidità, con la disidratazione possono ridursi a un quinto del loro peso e a metà del loro volume iniziale e preservarsi più a lungo.
La liofilizzazione ha numerosi vantaggi come ad es. la facilità di conservazione del prodotto che resta a temperatura ambiente, le minime modifiche strutturali e il massimo rispetto per odore, sapore e proprietà nutrizionali originali. Di contro gli svantaggi di questo metodo di conservazione sono il tempo e la laboriosità della reidratazione, spesso necessaria per il consumo degli alimenti, nonchè il costo economico non indifferente del processo stesso. Inoltre spesso gli alimenti conservati in questo modo non sono in grado di reidratarsi completamente, pertanto presentano una consistenza dura e gommosa. Attualmente questo trattamento è limitato a latte, minestre, uova, lievito e caffè in polvere e a prodotti simili.
Metodi basati sull’alterazione della temperatura
La temperatura è uno dei parametri fisici più importanti per preservare i cibi a lungo in quanto essa non regola solamente la velocità delle reazioni chimiche ma anche di quelle biologiche e la proliferazione microbica. Possiamo distinguere i metodi basati sulle basse temperature da quelli che invece prevedono il riscaldamento dei cibi anche oltre i 100°. Tra i primi, le tecniche più 19 comuni che non si limitano solo ai produttori ma che sono adottate da tutti i consumatori, sono la congelazione e la surgelazione.
La congelazione prevede la conservazione dei cibi a temperature variabili tra i -18°C e i – 50°C, temperature capaci di impedire ai microrganismi di moltiplicarsi sia direttamente, sia indirettamente attraverso la riduzione di acqua allo stato liquido disponibile. Questo processo non elimina, tuttavia, tutti i batteri; pertanto al momento dello scongelamento il cibo deve essere consumato rapidamente per evitare che i microorganismi ancora vitali ricomincino a moltiplicarsi e provochino alterazioni degli alimenti. Questa è anche la ragione che impedisce ad un cibo scongelato di essere nuovamente congelato. I cibi congelati hanno durata più lunga rispetto a quelli conservati con altre tecniche; tuttavia bisogna ricordare che anche questo metodo non può essere applicato a tutti i cibi e come tutti i processi presenta alcuni svantaggi. Tra le problematiche maggiori legate a questo metodo vi è la formazione di cristalli di ghiaccio nelle cellule degli alimenti al momento della congelazione. Questi cristalli hanno espansione in tutta la cellula tendono a rompere le membrane cellulari, formando cristalli di ghiaccio molto grossi. Con questo fenomeno parte delle sostanze nutritive presenti nelle cellule degli alimenti vengono perse irreversibilmente. Per questa ragione alcuni cibi congelati hanno minor valore nutritivo e sapore rispetto a quelli freschi.
La surgelazione è una pratica industriale che permette la conservazione dei cibi a temperatura pari o inferiori a -18 °C ma tale temperatura viene raggiunta molto più rapidamente rispetto al congelamento (spesso si utilizza azoto liquido a bassissime temperature). La rapida velocità di raffreddamento riduce la rottura delle cellule degli alimenti perché i cristalli di ghiaccio che si formano sono di dimensioni inferiori, pertanto le caratteristiche organolettiche dei cibi vengono meglio preservate. Anche le alte temperature possono garantire un’ottima conservazione di un cibo nel tempo e spesso sono usate in combinazione con altri parametri fisici come la pressione. Tra le metodologie più efficienti vi è la sterilizzazione, che viene eseguita ad alte temperature (intorno ai 121 °C), in apparecchi sottopressione denominati autoclavi. Lo svantaggio della sterilizzazione è che le temperature elevate possono alterare le proprietà fisiche e chimico-biologiche dei cibi. Il vantaggio è l’efficacia di questo metodo che permette di ottenere prodotti praticamente sterili ovvero privi di microorganismi.
Per tutti i prodotti sensibili alle elevate temperature la procedura adottata è la pastorizzazione. Questo trattamento deve il suo nome al chimico e microbiologo francese Louis Pasteur (1822-1895) che, intorno al 1860, osservò come, sottoponendo il vino alla temperatura di 60 °C per alcuni minuti, questo potesse essere conservato più a lungo. La pastorizzazione è quindi un processo di risanamento termico applicato generalmente agli alimenti in forma liquida, che non devono bollire come latte, vino, birra, budini, dessert e succhi di frutta. Il trattamento consente di eliminare i microrganismi più sensibili alla temperatura e comunque ha un effetto batteriostatico. La non completa eliminazione di altri batteri non patogeni e più termoresistenti limita tuttavia la conservazione prolungata dell’alimento nel tempo.20 Per migliorare la sicurezza dei prodotti alimentari e prolungarne la durata sugli scaffali dei supermercati, in anni più recenti, a questa metodica, si sono affiancati il trattamento HTST (High Temperature/Short Time) ed il trattamento UHT (Ultra High Temperature). Queste tecniche di conservazione prevedono trattamenti a tempi più brevi (ma diversi tra loro) con temperature più elevate, seguiti da un rapido raffreddamento. Col trattamento HTST si ottiene un prodotto in cui le caratteristiche nutrizionali e di sapore, odore e colore sono perfettamente conservate, mentre vengono eliminati i microrganismi patogeni eventualmente presenti. Questo trattamento consente ad esempio una conservazione del latte crudo limitata a 2-3 giorni in ambiente refrigerato. Il trattamento UHT invece produce un latte in cui non solo vengono distrutti i batteri nocivi, ma anche le spore resistenti al calore; in questo modo la conservazione viene prolungata fino a 6 mesi anche a temperatura ambiente
Metodi basati sull’alterazione della composizione dell’atmosfera
La conservazione sottovuoto o in atmosfera protetta è uno dei metodi più efficaci che garantiscono la conservazione dei cibi senza eccessive alterazioni. Il sottovuoto si ottiene tramite un’azione meccanica che permette la rarefazione dell’aria. Il procedimento all’interno di una macchina sottovuoto è molto semplice: un’apposita pompa entra in azione estraendo l’aria presente nella confezione che contiene il prodotto; questo permette di estrarre l’ossigeno impedendo la proliferazione di muffe e batteri e qualsiasi attività fermentativa. Per rendere efficace e mantenere nel tempo il sottovuoto, il contenitore e la busta devono essere correttamente sigillati. Lo scopo del confezionamento sottovuoto è quello di limitare la presenza di ossigeno a contatto con l’alimento, evitando quindi la proliferazione di batteri responsabili del deterioramento dei cibi (irrancidimento dei grassi, imbrunimento della frutta, bruciature da gelo …). Il confezionamento sottovuoto, tramite un procedimento di eliminazione dell’aria, permette di ridurre e ritardare tutti gli effetti appena descritti ottenendo, di conseguenza, l’allungamento dei 21 tempi di conservazione e, per quanto riguarda l’igiene, un margine di sicurezza certamente superiore proprio perché riduce l’attività dei batteri presenti nei cibi.
Metodi basati sul pH
Visto che i batteri risultano sensibili anche a variazioni di pH, questo viene sfruttato come mezzo per la conservazione degli alimenti, prolungandone la durata. Il metodo più utilizzato è la conservazione sotto aceto. Dato il suo alto grado di acidità, l’aceto (che contiene almeno il 6% di acido acetico) agisce come conservante soprattutto per vegetali e pesci precedentemente cotti. La fermentazione dovuta a determinati batteri, che producono acido lattico, è alla base della conservazione di alimenti come i crauti. Il sodio benzoato, utilizzato in concentrazioni inferiori allo 0,1%, è usato per preservare la frutta da lieviti e muffe. L’anidride solforosa aiuta a conservare il colore dei cibi disidratati, mentre il propionato di calcio può essere aggiunto ai prodotti da forno per inibire la formazione di muffe.22 E’ necessario precisare che le aziende produttrici possono adottare i diversi sistemi di trattamento per i loro prodotti, ma anche combinare gli approcci per garantire una maggiore durata nel tempo senza alterazioni del prodotto.
Altri metodi di conservazione
Esistono altri metodi di conservazione
L’o zucchero agisce con gli stessi meccanismi del sale: penetra nei tessuti e, catturando l’acqua, disidrata l’alimento abbassando il tasso di umidità e creando un habitat non idoneo alla crescita di alcuni batteri. La conservazione con lo zucchero si applica nella produzione di marmellate, confetture, gelatine o canditi ed è usata anche in ambito domestico. Gli alimenti con PH basso, come gli agrumi, permettono la produzione di marmellate con una concentrazione di zucchero inferiore rispetto alle conserve e alle gelatine, in cui lo zucchero si presenta in una concentrazione del 65-70%. Spesso infatti a queste preparazioni si aggiungono degli acidificanti proprio per abbassare la percentuale di zucchero e garantire una buona conservazione.
L’affumicatura, che si applica spesso a pesci e salumi. Il fumo si ottiene tramite la combustione lenta e incompleta, cioè senza fiamma, di vari tipi di legni, dolci o duri. L’affumicatura viene effettuata non solo ai fini della conservazione, ma anche per conferire ai cibi il profumo e sapore caratteristici. Per l’affumicatura possono essere utilizzati tutti i legni aromatici (quercia, ciliegio, noce, vite, melo, acero, pero, prugno …); fondamentale è l’asportazione della corteccia, che non va bruciata, e che il legno combusto non sia resinoso altrimenti al contrario potrebbero sprigionarsi dei vapori non idonei all’uso alimentare
La fermentazione è un insieme di processi chimici di demolizione degli zuccheri, operata da fermenti che comprendono muffe, lieviti e batteri. Questo processo, oltre a modificare parzialmente la composizione chimica ed il gusto degli alimenti, ne aumenta la conservabilità, la digeribilità, il contenuto di vitamine e di amminoacidi, determinando la formazione di acidi che inibiscono lo sviluppo di microrganismi. Gli eventuali componenti tossici o i fattori antinutrizionali vengono inattivati o distrutti. Esistono al mondo più di 3500 diversi tipi di alimenti fermentati, ed è stato fondamentale il ruolo svolto dalla biotecnologia tradizionale nello sviluppo della fermentazione microbica, con la quale si ottengono i cambiamenti desiderati tramite l’azione di enzimi o di microrganismi. Basti pensare che un tempo la lievitazione del pane richiedeva ore, mentre oggi a livello industriale richiede soltanto mezz’ora di tempo, grazie all’inoculazione di lieviti prodotti su vasta scala